Monia Reznor - Senza titolo 01

Quando non si riesce a dire nulla di un quadro qualcosa significa. Potrebbe non esserci nulla da dire perchè il quadro nulla ci sembra dire. Ma non è questo il caso.


 

La serie di dipinti esposti al circolo ARCI “Fictio” di Chieti, opere di Monia Reznor, artista che forse espone per la prima volta in Italia, qualcosa di sicuro “dicono”. Ma cosa?

Imbattendosi per caso nei suoi dipinti, si viene immediatamente colpiti da queste teste che a prima vista sembrano uscite da cartelloni di b-movie anni '70. Immerse in un nero malato e sporco, decapitate dal taglio della composizione e congelate fotograficamente con colori terrei, con quegli occhi bianchi ed il trucco colato, urlano qualcosa di terribile, percepito immediatamente come esagerato. Ma cosa?

Al secondo sguardo si nota che il nero dello sfondo continua fin dentro le bocche spalancate, tagliandone i profili, le guance. Queste teste di zombie, la maggior parte femminili ma anche maschili, ricordano le copertine raccapriccianti di fumetti horror-splatter, con i colori spatolati ed in evidenza materica, a dar un apparente quanto stridente dinamismo ad esseri impossibili, fantascientifici, autentici mostri probabilmente morti o per lo meno “non-vivi e non-morti” come amavano definirsi i vampiri ed altre entità sovrannaturali protagoniste di questi filoni.

Il terzo sguardo nota che le labbra hanno tutte la stessa forma innaturale ad “O” convessa, a tromba, il che suggerisce che il nero seppia più che entrare nelle cavità orali ne fuoriesca quasi vomitato.

Infine si legge il titolo della serie, “blowjobs”, ed ognuno reagisce a suo modo, secondo sua “sensibilità” e subcultura pornografica.

Ma ormai il “danno” è fatto, l'urlo agghiacciante anche se grottesco è stato ascoltato, si può anche arrivare a riderne, ma è tardi per poter tornare indietro e rileggere il quadro diversamente. In questa serie di primi piani di fellatio dissimulate dalla negazione dei falli data dal nero che li sostituisce più che coprirli, a ben vedere si indugia in particolari di versamenti salivari e seminali ma si nega ciò che rende “persona” un volto: lo sguardo. Gli occhi sono spalancati ma mancanti di pupille, un estremo “eyes wide shut”, macabro e orrido.

Quello che sembra venir fuori è un'immagine espressionista e punk di una violenza subita e restituita centuplicata. Infatti queste bocche “stuprate”, con il trucco distrutto da lacrime e sputi in realtà diventano terribili maschere tumefatte e putrescenti idrovore che possono sedurre solo necrofili “terminali”.


 

E' qui la forza di queste originalissime opere, nello spettacolo inaccettabile di una violenza sessuale, forse desiderata, forse subita, ma di certo l'unica forma appagante di un desiderio inesauribile se vissuto con la massima intensità.

L'autrice di certo avrà notato che la pornografia odierna, nel tentativo di supplire all'inevitabile carenza sensoriale delle tecnologie (il 3D manca ancora di gusto, olfatto e tatto), sprofonda verso l'estremizzazione del rapporto violento ed umilante nel confronto del partner co-protagonista.

La genialità dell'autrice è quella di esporre ciò che è normalmente precluso alla visione pubblica fingendo un'auto-censura e così costringendo chi guarda le sue opere a ricostruire mentalmente la scena; nascondere per evidenziare ma anche, forse, cancellare per rimuovere e ridare, così facendo, a queste teste senza cervello, la dignità negata da chi le voleva umiliare.

Doppo aver visto questi quadri è veramente difficile dire qualcosa, ma ancor più difficile è il semplice aprire la bocca per farlo...

Dal 15 ottobre al 14 novembre 2010

Circolo Arci Fictio - Via Armellini, 1 - Chieti