"La" democrazia

 

Se si parte dall’esistente e si cerca di migliorarlo mediante riforme, si condanna il futuro ad assomigliare al passato. Ci sono momenti nella storia dell’umanità nei quali una volontaria brusca sterzata ha rimesso in moto il progresso civile, altri molto più numerosi in cui l’involuzione derivata è stata devastante.

Con la scusa di mirare ad una lenta ricostruzione democratica della Germania post-bellica, la repubblica di Weimar ha consentito l’ascesa del nazismo, in Italia dopo “mani pulite”, il buonismo goliardico dei comunisti superstiti ha consentito l’ingresso a gamba tesa del furbo di turno.

Oggi, nel pieno di una crisi mondiale del concetto stesso di mercato e della trappola infinita del denaro come valore unico, gli squali preparano la prossima voragine ingozzandosi senza limiti di risorse ed i buoni sognano crocefissi e sindacati come argini alla cupidigia umana. Continuando a parteggiare per se e per i propri pari, ogni partito giustifica l’esistenza dell’altro, le altrui e le proprie malefatte.

Eppure i segnali dell’esistenza di un altro pensiero, già tuttora seguito da coerenti azioni ci sono. Persino sulla TV pubblica, in prima serata, tra una zuppa ed una presa in giro degli altri canali, vengono mostrate le strade e le possibilità di pensieri realmente alternativi.

Quella che manca è solo una riflessione generale sui dati e la necessariamente spregiudicata risoluzione di essi in nuovi principi largamente condivisibili.

Se il clientelismo, l’infiltrazione massiccia della criminalità organizzata nelle istituzioni, la nazionale mancanza di una qualsiasi graduatoria di merito e di demerito, l’impossibilità tecnico-giuridica di applicare le leggi sono dovute all’esistenza dell’organizzazione politica in partiti, si chiudano i partiti e si inventi una nuova forma di organizzazione delle proposte politiche. E’ ampiamente dimostrato che qualsiasi partito, anche il più santificato dalla storia, nel momento in cui si accosta alla gestione del danaro pubblico inevitabilmente lo utilizza per la propria conservazione e diffusione. Per sua propria natura il partito è un associazione dedita all’esercizio del potere in tutte le sue forme, una forma blanda di criminalità organizzata e legalizzata. Qualsiasi deviazione si auto-concede al fine ultimo e primo della propria conservazione. La sua esistenza è garantita, paradossalmente, dalla sua natura antinomica: la rotazione dovuta alle elezioni non garantisce la democraticità e la responsabilità dei politici, ma proprio l’esatto opposto, ovvero la loro impunibilità, irresponsabilità e indistruttibilità. L’alternanza democratica è la presa in giro ormai più nota a chiunque. Il giornalismo vive dei processi che alternativamente i partiti si promuovono a vicenda, il tutto sempre e solo finalizzato alla loro reciproca conservazione e legittimazione.

Il linguaggio è lo strumento che i partiti usano per mistificare la loro diversità, pur di fronte a programmi identici, ci si affida all’ambiguità e intrinseca impossibilità di rappresentazione della verità del linguaggio per mostrarsi come nuovi e diversi dall’altro. La repubblica è fondata sul patto scellerato di reciproco riconoscimento e legittimazione tra partiti. La linea di partito è semplicemente il volere di uno o di pochi, che democraticamente eletto diventa semplicemente un semi-dio, intoccabile se non dai numeri due. Questa democrazia risulta in sostanza essere un oligarchia, nella quale milioni di elettori coalizzati non possono in nessun modo scalfire il prestigio ed il potere dei vertici partitici. E’ un sistema bloccato dalla assenza di una qualsiasi reale alternativa di sistema a-partitico.

Ma il partito, comunque lo si chiami e configuri, resta all’apparenza l’unico realistico modo di riunire orientamenti politici ed etici. Ultimamente si è pensato che il male d’Italia fosse dato dalla presenza di innumerevoli sigle, ed il “grande innovatore” Veltroni ne ha fatto scempio tra il plauso del popolo intero. Risultato: si è ridotto il bacino dove pescare i malfattori di turno e basta. Si è semplificato di molto il meccanismo di spartizione dei poteri. Adesso sarà sempre più difficile che una mente originale possa entrare a palazzo, senza essere schiacciata dai vertici. Ma le lotte che prima si aprivano tra apparati partitici ora sono state semplicemente interiorizzate all’interno dei partiti.

Le fusioni partitiche operate derivano non da un desiderio di operare una semplificazione ma dall’amena constatazione che è ridicolo presentare simboli e nomi diversi quanto alla fine si tratta solo di gestire ai propri fini il denaro pubblico. E’ tramontato l’ottocentesco afflato idealista e connesso strumentario ideologico, la politica è un lavoro per imprenditori: investo il mio denaro per essere eletto e quello dei sostenitori per poterli ripagare in futuro. A differenza delle imprese non produco assolutamente nulla, ma mi concentro solo sul come stornare dalla massa di denaro che passa per le mie mani quel che mi serve per vivere, una villa, uno yacht e qualche altro gadget, anche un semplice posto/stipendio per mio figlio.

Non credo fosse questo il “Partito” che i padri della costituzione avessero in mente quando lo santificarono nella carta. Ma sono certo che tutti sapevano bene essere un male, anche se al momento il minore.

 

E’ ora di cambiare, prima che altri finti eroi salgano sulla scena a salvare l’umanità, e prima che le masse di disoccupati e comici affamati tentino di travolgere completamente il sistema, giustificando reazioni in stile tirannide.

L’unico modo che io vedo per sostituire questo sistema è quello di rendere dinamico e personale il progetto politico, oggi statico ed impersonale. Non l’aggregazione intorno a onnicomprensivi e sostanzialmente simili progetti riformistici di massima, ma una gara libera ed aperta a tutti intorno alle possibili evoluzioni della convivenza umana su ogni singola questione. Oggi la tecnologia ci da per la prima volta nella storia dell’umanità  questa possibilità di orizzontalizzazione di massa in tempo reale, la possibilità di cambiare idea minuto per minuto e non dopo cinque anni di sofferenze, con l’amara certezza che tanto non cambia niente lo stesso. E’ ora della democrazia diretta telematica. Un collegio di probi viri eletti con lo stesso sistema e sostituito annualmente, si organizzerà al fine di provvedere alle attuazioni delle decisioni e della sicurezza ed imparzialità del sistema telematico. Dovrà altresì essere scrupolosamente garantito l’accesso ai media, non più dominio di privati ma esclusivamente pubblico, indirizzato dagli stessi utenti che potranno proporre qualsiasi nuovo programma alla collettività telematica. Le sfide per inventare un nuovo sistema politico sono enormi, ma sono a mio avviso le uniche per le quali valga ancora la pena di pensare.

Quanti decenni dovranno passare prima che il sogno della democrazia diretta, "La" democrazia, l'unica democrazia possibile finalmente si avveri?

 

13 Marzo 2009