La speranza

 

L’endorfina dell’uomo più che l’oppio dei popoli. Una droga che nasce nel corpo umano e di cui gli uomini hanno bisogno per svegliarsi la mattina e per coricarsi la sera: la speranza che qualcosa di bello o di nuovo possa accaderci, che non ci accada nulla di brutto, che l’indomani si sia ancora in vita etc.

Ma sappiamo bene che invece un giorno o l’altro ci porterà la scomparsa di una persona cara, una malattia nostra o di chi ci è vicino, un incidente o altro evento infausto e nefasto.

Se decidessimo coscientemente di vivere nell’ossessiva attesa di questi inevitabili eventi, che per la loro appunto inevitabile natura sono piuttosto degli appuntamenti, rischieremmo di fermare la nostra vita, fatta comunque di più o meno consapevoli passi nel buio, rischi accettati a cuor leggero, come quando si corre in macchina di notte su di una autostrada, vedendone solo la parte illuminata dai nostri fari, e comunque confidando nella sua “prosecuzione” oltre la visuale. Voglio dire che nessuno potrebbe salvarsi se il viadotto che stiamo percorrendo è crollato di fronte a noi.

 

La speranza è propria dell’essere umano, che divide il tempo in oggi, ieri, e domani e settimane mesi ed anni, che progetta la propria esistenza perché in grado di fare proiezioni sul futuro. Se così non fosse, se il futuro quale noi possiamo, anche approssimativamente, azzardare non esistesse, e fossimo confinati in un eterno e ciclico presente fatto di tanti oggi , come sarebbe la vita? Semplicemente non possiamo porcela questa domanda, proprio perché ipotizza un futuro anche se in forma condizionale.

La speranza non interviene sul passato e neanche sul futuro, agisce con la propria forza solo sul presente, rendendolo alla nostra coscienza non l’unico tempo di cui possiamo sentirci in parte responsabili, ma come un tedioso intermezzo tra un brutto passato ed un radioso avvenire. Un ponte invisibile, male necessario per raggiungere il destino promesso, o più modestamente, faticosamente costruito, con privazioni e rinunce.

 

“Il passato è ben visibile davanti a noi, il futuro ci assale alle spalle.”

 

La speranza quindi è un bene preziosissimo, alla quale tutti ci abbeveriamo, ma che soffre di una fastidiosa qualità: quella di essere un bene immateriale, in quanto sopravvive solo nella nostra testa. Sappiamo bene quale forziere inaffidabile si possa rivelare la nostra mente, non ne governiamo praticamente alcunchè, la psicologia non è come tante altre una scienza esatta, e si dubita anche che sia una scienza. Pare, (dopo quanto detto è d’obbligo) che l’uomo cerchi di modificare l’ambiente ai suoi fini, e quando non ci riesce o ha paura di non farlo, modifichi i suoi fini secondo l’ambiente, continuando a sperare di riuscirci un giorno. Non rinuncia completamente al raggiungimento dei suoi obiettivi, ma li ridimensiona e/o ne procastina la realizzazione.

 

“Chi di speranza vive, disperato muore.”

 

questo terribile proverbio, non gode dei favori della Chiesa, ne in generale.

 Suppongo nasca dal desiderio di mitigare lo strapotere assoluto che la speranza ha da sempre esercitato sugli uomini, ma in realtà, a mio avviso, per la crudezza dell’immagine finale, ne decreta una assoluta censura, una vera e propria messa al bando, una inappellabile condanna. L’efficace forma tende ad avvalorarne la condivisibilità, per il principio che ciò che è bello e suona bene trova maggiori risonanze nella nostra inaffidabile immagine della verità.

 

Si diceva che un difetto della speranza risiede nella sua natura mentale e quindi volatilità. C’era bisogno, per l’uomo, di fondare meglio, su basi più solide ed inamovibili, il vacillante oscillare della speranza, di per se facilmente comunicabile come sentimento, ma non così facilmente condivisibile, essendo troppo spesso la nostra speranza in netto contrasto con quella altrui. Allora per dirla come si usa oggi in economia, per il sistema si apriva, già all’alba dell’umanità, un enorme bacino di utenza o vasto mercato.

 

Ci si rese ben presto conto, che la sopravvivenza ed il soddisfacimento dei bisogni primari, era indissolubilmente legati alla terra, fatta di piante ed animali e pietre, un tutto unico che a suo piacimento poteva favorire la caccia o togliere vite. Ciò che più tardi sarebbe dovuto essere bello per apparire vero, all’alba dell’umanità bastava che fosse forte, estremamente forte, come i vulcani, come il mare, come le inamovibili o travolgenti montagne, ma anche tra gli altri esseri viventi si potevano rintracciare segni di maggiore forza. La nascita della religiosità deve avere avuto come culto primario quello della forza e della violenza.

 

Però come tutti i beni anche la forza poteva inflazionare e perdere così il suo potere, quando più o meno tutti potevano permettersi di cingersi il capo con una testa di leone, o il collo con denti di cinghiale, o avere il proprio fuoco personale, il panteismo iniziò il suo declino. Si doveva trovare qualcosa di unico, che non potesse appartenere od essere usato da una sola persona, ma contemporaneamente accessibile, anche parzialmente, da tutti.

 

Restava anche il problema su esposto dell’inconciliabilità di personali speranze, si doveva per forza eleggere un arbitro, al di sopra delle parti, meglio al di sopra di tutto, che fosse irragiungibile e quindi non suscettibile di favoreggiamenti e corruzioni, un arbitro supremo e sovrannaturale, cui affidare, in condizioni paritetiche, il destino delle proprie speranze private e così comuni. Il sole, con la sua luce, talmente forte da non poter neanche essere guardato, così lontano da non poter essere mai raggiunto, così in alto da non poter essere toccato, si prestava a tutte le caratteristiche dell’arbitro supremo, in grado di decidere in perfetta, illuminata ed illuminante, solitaria verità le sorti meschine degli uomini.

 

Ma il culto del sole prese piede solo in concomitanza con la nascita dell’agricoltura, perché fino a quel momento la sua era una presenza certo appariscente ma priva di una evidente utilità. Si cacciava sotto la sua luce, ma anche quando era coperto e reso invisibile [inesistente] dalle nuvole, e con la cattura del fuoco se ne poteva addirittura fare a meno (erroneamente).

Solo con lo sperimentare la coltivazione, cioè il controllo di fenomeni naturali, ci si rese ben presto conto che dipendevano fortemente da esso: era il sole con il suo andare e venire, con il cedere il posto alla pioggia, con il variare della sua altezza sull’orizzonte a decidere del destino dei raccolti. In funzione dell’agricoltura nacque la prima scienza: l’astronomia. All’epoca essa era anche astrologia, in quanto il movimento periodico del sole era studiato nella convinzione religiosa di favorire o sfavorire taluni cambiamenti registrati. Ma da solo non sembrava spiegare tutto, bisognava cercare altri possibili responsabili, anche loro altissimi, ma meno evidenti. Prima di tutte la luna e poi le stelle mobili, i pianeti. Lo studio dei movimenti celesti non era da tutti, anche se tutti sapevano quando seminare, quando raccogliere. Nasceva la prima casta non basata sulla forza, ma sulla scienza: gli astronomi-astrologi. Il fatto che non potevano pretendere il potere reale, che continuava ad essere diritto dei più forti e dei loro discendenti, non voleva dire che non esercitassero con intelligenza il proprio potere. Grazie alla indissolubilità tra la fisica e la metafisica (astronomia e astrologia) erano in diretto contatto con l’arbitro supremo, del quale rappresentavano gli unici mediatori. Le speranze dell’umanità, rivolte ai corpi celesti, dovevano essere inoltrate da chi dimostrava di conoscerne i movimenti. Grazie alla prima scienza empirica ma necessariamente sistematica, nasceva anche la prima figura religiosa, cioè il mediatore di dio.   Da quel momento, agricoltura-astrologia-mediatore, il dominio della speranza umana è restato saldamente in mano a tutte le figure di mediatori religiosi. Chi detiene il monopolio della speranza detiene l’unico potere indistruttibile.

Nonostante le conquiste della mente e i successivi sconvolgenti disvelamenti, la speranza è rimasta quella di sempre: sorgerà il sole domani o morirò nel sonno stanotte?

Preghierina della notte!

 

(21 Febbraio 2007)