L'AUTOREFERENZIALITÀ, OVVERO L'AUTISMO NELL'ARTE

 

L'espressione artistica, organizzata o meno nel circuito del mercato, nel corso della propria esistenza cicloidale, spiraliforme o comunque la si voglia immaginare ma di certo non lineare, incontra un periodo/fase in qualche modo ricorrente ed apparentemente finale, terminale: quello dell'avvitamento su se stessa, del guardarsi allo specchio riflettendo sulla propria riflessione, immaginando la propria immagine, narcisisticamente stupefatta della propria bellezza.

Ma i fenomeni dell'Arte non sono come spesso si pensa avulsi dai contesti, un mondo più o meno dorato ma appartato dall'agire umano, esso è sempre intimamente, più o meno nascostamente avvinghiato alla realtà coeva, costituendone per così dire l'immagine che essa si vuol dare nel proprio futuro, o tentando di preconizzare con incubi i disastri che ci aspettano.

Lo stesso autismo artistico, come fase apparentemente terminale del fare artistico, in realtà ci parla di ben altro che della sola arte; ci fa supporre un futuro, quand'anche non già un presente, dove l'umanità stessa cessa definitivamente di sognare l'idealistica e romantica propria rappresentazione di “genere umano”, di “specie umana”, con un destino praticamente comune, per palesarsi patologicamente come un coacervo di miliardi di individui, singole cellule autonome e malate addossate l'una all'altra non per scelta biologicamente funzionale, e tanto meno escatologicamente significativa, ma più o meno casuale ed incausale.

L'autoreferenzialità dell'arte rappresenta, in questa personale visione, un modo per segnalarci che stiamo continuando ad isolarci costruendoci il nostro rifugio tecnologico, circoscrivendo i confini del nostro territorio e restringendo lo scambio sociale ai pochi elementi su cui siamo costretti a fare affidamento, pronti a farne a meno al primo sospetto di tradimento. Stiamo noi tradendo il nostro essere umani.

L'arte, come desiderio inesprimibile, incubo e delirio, gioco e follia, espressione di dolore e compassione, se entra in cortocircuito è forse per segnalare la nostra stessa inversione direzionale: dall'umano aprirsi al nuovo ed al diverso, esplorare l'ambiente e la mente, al malato rinchiudersi nel vecchio e nel sempre uguale, concentrandosi maniacalmente nel contare le mattonelle della nostra stanza.


 

2010 - 01 - 24