La cortesia, la tolleranza, la condivisione e la compassione.
E' il tempo il luogo deputato del dominio.
Se è plausibile che, come in altri scritti qualcuno sostiene, sia la relazione umana stessa in quanto tale ad imporre già al suo nascere in un qualsiasi contesto un rapporto di diseguaglianza, e quindi non esisterebbe la possibilità almeno di partire da una condizione paritaria, di non sottomissione/dominio, il presente scritto potrebbe risultare ancora più inutile degli altri.
Ma cosa renderebbe impossibile la parità iniziale in un qualsiasi nuovo rapporto umano? Forse la temporalità stessa di ogni azione umana, la sua non contemporaneità, il suo essere legata a strutture linguistiche tempo-orientate e fortemente sequenziali.
L'incontro/scontro di due individui tra loro sconosciuti provoca sempre e comunque un nuovo evento che si svolge nel tempo e a differenza dell'evento scontro che lo ha generato, il nuovo evento riguarderà entrambi gli individui. Ogni evento-relazione nasce dall'incontro di due eventi individualmente distinti, due eventi personali.
Qui non interessa e non si è personalmente in grado di analizzare la complessa e storicamente determinatasi sintassi delle relazioni umane, la nascita e la fortuna di elementi linguistici e formule di interazione che nel corso della storia si sono evolute fino ad oggi. Ci si accontenta di provare ad individuarne empiricamente, accollandosi i rischi connessi quali le generalizzazioni e la non scientificità delle affermazioni, gli eventuali fondamenti ineludibili. Sapere cioè se siamo condannati comunque ad essere schiavi/padroni del prossimo in qualche modo e grado o esistono strade alternative.
Invece di partire dall'incontro di due esseri umani maturi, si potrebbe iniziare a guardare l'incontro di un padre e di suo figlio. Premetto di non avere esperienza diretta come padre ed ovviamente di non poter ricordare quella di figlio prima di una certa età. Invito pertanto calorosamente i padri a raccontarci nei modi da essi preferiti tale esperienza relazionale.
Pur non conoscendo le sensazioni, mi arrogo il diritto di immagginarne almeno i presupposti. Dovremmo avere dinanzi un essere profondamente strutturato, orientato ma allo stesso tempo curioso e protettivo quale il padre, e dall'altra parte un essere in corso di iniziale strutturazione assolutamente disorientato e con nessuna cognizione della propria individualità, al tempo stesso anch'esso molto curioso di tutto il suo indistinto universo.
Quando un neonato è nelle braccia del padre dall'esterno dovrebbe apparire chiaramente il rapporto di dominio assoluto del primo sul secondo. Il padre ha l'estremo potere di togliere la vita (scusatemi la crudezza) al neonato e non viceversa. Questo enorme dislivello di forza fisica, di libertà e controllo delle proprie azioni, di cognizioni garantisce e sanziona definitivamente un rapporto di dominio. Come sanno bene i padri, tale assunto è tutt'altro che incontrovertibile. Perchè non si è tenuto conto di una forza immensa ed invisibile che si nasconde in quel tenero fagottino, una forza capace di piegare la volonta dell'Egitto biblico, ma che non è stata sufficiente a dissuadere una cittadina di Cogne. E' la forza dell'estrema debolezza, dell'essere il nostro unico futuro, la nostra immortalità fisica. E' così che il gigante della montagna si sottomette non alla volontà indistinta del topolino, ma alla sua esistenza fisica, alla sua migliore sopravvivenza.
Se infatti per “dominio” intendiamo la capacità/potere di imporre la propria volontà su altri, difficilmente la possiamo attribuire alla figura paterna, e del resto neanche completamente a quella filiale, mancando la caratteristica di volontarietà cosciente. Ciò non toglie che tra le due figure, escludendo l'impersonalità terza dell'amore paterno o del rapporto genitoriale in se, sia il secondo, con la sua volontà primitiva biologicamente ed evolutivamente affermatasi, ad instaurare e personificare con la propria nascita il ruolo di dominatore del rapporto.
Ho utilizzato la perifrasi “volontà primitiva biologicamente ed evolutivamente affermatasi” quando avrei potuto usare il più breve concetto di “natura”.
Provo riluttanza ad usare il termine “natura” che in questo come altri casi taglierebbe le teste taurine. Come la storia universale ci narra e la cronaca giudiziara ci ricorda, l'essere umano pare essersi sempre evoluto in contrasto con la natura, sfidandola continuamente, senza tregua. L'infanticidio non è un invenzione valligiana, ma una costante di moltissime culture del passato e forse di qualcuna del presente a noi ignoto (possiamo essere certi che non si pratichi sistematicamente più in nessun luogo della terra?). Il dominio della natura sull'uomo e viceversa è qualcosa che trascende i limiti di questa discussione, in quanto è un dato di fatto che può costituire motivo di relazioni umane ma che non ne giustifica a priori i rapporti di dominio. Ci si allea per combattere le avversità della natura, ma non per questo un individuo viene fatto Re.
Tornando alla nostra famiglia composta di solo padre e solo figlio, in quanto la relazione sessuale ed il rapporto materno sono capitoli immensi che meritano altra discussione o approfondimento successivo, constatiamo che l'iniziale dominio del figlio sul padre diminuisce con la crescita del primo. O meglio, così sembrava fino a qualche tempo fa.