FLIPPER

L'ansia mi proietta fuori dalla porta di casa.

L'ascensore si incanala con me dentro lungo il suo pozzo. Infine si apre dandomi la possibilità, solo la possibilità di uscirne. Ed infatti ne esco fuori, perchè troppa forza ci vuole a premere il pulsante per tornare sopra e rientrare nella porta da dove la pallina è appena uscita e dove è sempre inesorabilmente alla fine attratta. Ma anche perchè l'ascensore è un vassoio che ti scodella automaticamente, un tostapane che ti rigetta con un “ding”. La sua molla che tu stesso hai tirato con forza non serve per catapultarti fuori, ma solo ad attenuare la sua corsa idraulica e silenziosa, un lubrificato e lento vaffanculo.

Esco con l'auto dal garage urtando a destra e sinistra e rompendo uno specchietto: 1.000 punti segna la mia mente, con un “ding-ding-ding”, mille euro di danni. Il cancello automatico si apre al solo vedermi, senza bisogno di urtarlo prima, quasi senza bisogno del telecomando. Ma anch'esso è troppo lento, troppo oliato e troppo prevedibile come tutti gli automatismi. Indugio in esso con l'auto per metà fuori, aspettando inutilmente che mi schiacci spaccando in due la mia auto, ma niente, non puoi fregare le sue cellule foto-elettriche, anch'esse ti hanno riconosciuto e sanno bene che ci provi sempre a sfotterle.

Non resta che accellerare, sgommando e sterzando bruscamente cercando la sbandata. Nulla. L'auto inchiodata all'asfalto dai pneumatici termici effettua una curva perfetta inclinandosi appena per la forza centrifuga: troppo bassa per rovesciarsi.

Ho davanti a me 300 metri di strada libera prima di arrivare all'incrocio. Accellero e scalo tutte le marce frenando solo alla fine, ma sono fortunato, non c'è nessuno e posso continuare senza fermarti.

Semafori gialli ed auto pigre davanti mi costringono a spericolate gimcane per non trovarmi 3 minuti paralizzato dal rosso a pensare ai miei pensieri indistinti, ma tutti negativi. Ma non c'è nulla da fare, per quanto corra, puntuale arriva il semaforo rosso ad inchiodarmi alla tortura. Cerco intorno a me volti e gambe di donne che possano distrarmi durante la sosta forzata, le inseguo con lo sguardo, restando con la coda dell'occhio impiccato al rosso del semaforo. Poi vedo solo uomini ed è la fine, mi vedo ridicolmente incazzato nella mia auto e non lo sopporto. Senza aspettare il verde vado via tirando tutte le marce per dare suono alla mia rabbia.

Altri semafori, altre curve, altre auto e qualche passante che non voglio assolutamente spaventare ne mettere in pericolo, inchiodo con l'ABS 100 metri prima delle strisce sui cui attraversa l'anima sconosciuta di quella persona senz'auto addosso, nella notte umida. Una bicicletta sacra veleggia al centro della strada, le passo in silenzio sulla destra. Forse una donna, forse un amico, merita tranquillità e sicurezza. Poi il vuoto della strada illuminata a festa mi risucchia a cento all'ora. Ancora donne sul marciapiede che guardandomi rimbalzano il mio sguardo, decelero appena per vedere se sono amiche su facebook...no, allora via verso la destinazione finale, un cinema buio e freddo per vedere un film orrendo.

Lentamente fiancheggio le file di auto parcheggiate che si intimidiscono al passaggio della mia auto, ma non fino al punto da spostarsi per farmi posto tra di esse. Mi respingono serrando i ranghi, baciandosi le estremità pur di non farmi entrare tra loro.


 

Ho corso troppo e sono uscito troppo presto arrivando con uno spaventoso anticipo.


 

Neanche la sfortuna di trovare un parcheggio lontano. No. A due passi dal cinema, sulle zebre in prossimità di un incrocio, ma è sera e tira vento, i vigili stanno a casa a vedersi la partita di coppe.

Non riesco neanche a camminare lentamente, per quanto mi sforzi, sono già dentro al solito bar per il solito caffè. Il barista che l'altra volta mi ha dato appuntamento ironicamente “resto in attesa”, mi saluta con gentile freddezza. Forse non mi ha riconosciuto, in fondo sono un po' cambiato dall'ultima volta, sette giorni lasciano segni, cambi d'abito, meno barba e capelli...o forse non sono così unico ed originale come credo e ci vuol troppo poco a dimenticarmi completamente e a confondermi con le altre migliaia di facce che gli chiedono un caffè. Fatto è che il simpatico barista sul quale confidavo per un'amabile conversazione sul suo desiderio di aprirsi un bar per conto suo da lasciare al figlio, infranto dal desiderio del figlio di far tutt'altro, costringendolo a lavorare per altri fino all'imminente pensione, ebbene questo affabile barista di altri tempi mi rimbalza, respingendomi contro il bancone, buttandomi con lo sguardo fuori la vetrina, lasciando posto, invece che alle sue parole ad un insulso commento di una serie di partite di calcio che stanno per cominciare ma non ancora... L'unica mia fortuna è, che pur cercando meccanicamente la provenienza di quel ciafruglio da stadio, non riesco ad individuare il monitor. Solo adesso capisco che in quel vecchio bar, antico e un tempo di prestigio, non poteva esserci un banale televisore, ma solo una discreta ed elegante radio. “Ding” fa il cassiere consegnandomi lo scontrino dei 70 punti e spedendomi fuori verso altre porte e cancelli e respingenti.

Inseguo con lo sguardo due uomini vestiti leggermente, cerco le due ragazze extra-facebook intraviste poco prima e mi trovo a salire le scale di quello che una volta era un tribunale ed adesso è un museo del cinema. Il portone è aperto, la luce è accesa, enormi manifesti e splendidi proiettori si intravedono tra le vetrate, ma sto fumando e non posso entrare. Scorgo appena una donna seduta dietro una cattedra. Poi continuo a studiarme i particolari dei proiettori. Ad un tratto una donna esce. E' bella, colta e gentile e mi dice “Il museo è chiuso e non si può fumare nell'atrio”

Ringrazio saluto e vado via intravedendola mentre accosta i portoni del museo. Altre porte che si chiudono, un altro cancello che mi spinge fuori. Saltello giù per le scale, rimbalzo verso la strada, rotolo sul marciapiede rallentando inerzialmente, lo sguardo perso verso il basso...e vedo un oggetto caduto per terra. Per un attimo mi sento unabomber, ma subito dopo mi sento una delle sue vittime e non lo tocco se non con un piede. E' una custodia in tessuto con una scritta ed un simbolo NewYork (NY). Sono tentato di raccoglierlo per metterlo vicino al cancello dove presumibilmente è entrato chi l'ha perso. Ma sento una finestra sbattere e sento che sto correndo un rischio inutile e che soprattutto ho una strana percezione che non è proprio serata fortunata per me, che quell'innocua custodia potrebbe rivelarsi fonte di chissà quali guai e malintesi. Poi alla fine mi convinco che chi l'ha persa la ritroverà più facilmente li che da un'altra parte, anche se più in vista.

Il portone del cinema è chiuso. La pallina di acciaio suona il campanello per entrare in certe porte “Ding” Ma il cancello non si apre, ed inizio a pensare di essere dentro ad un flipper.