Il seduttore (Magritte 1953)

Portare a se. Entrare nei sensi di chi desideriamo condurre a noi, sedurre.

Veleggiamo al vento, con veli leggeri o pesanti, apparentemente trasparenti o conformi alle nostre forme, in realtà rivestiti di quello che c'è in giro, che è possibile trovare nei negozi o in sartoria. Ci vestiamo con ciò che ci circonda, per apparire naturali, consoni, armonici con il paesaggio umano. Ma non siamo mai naturali, come quando nudi sediamo sul water.

Il paesaggio urbano ci fa da sfondo inconsapevole, con le sue linee dure e spezzate contrasta la curvatura delle nostre linee, dei nostri profili, mettendoli in risalto, anche perchè in movimento perenne. E gli altri sono parte integrante di quel paesaggio urbano, anche loro grigi ma sorridenti, belli ma tristi, anche loro aspiranti seduttori, a volte veri e propri buchi neri dell'attenzione, altre volte solo nuvolette trasparenti e sfocate che neanche sbattendoci contro riusciamo a vederli.

Noi siamo il mare sul quale navighiamo, fatti dell'acqua che beviamo, tronfi delle vele che apriamo, con gli occhi a cannocchiale scrutiamo oltre l'orizzonte meschino (anche la compassione c'è venuta a noia).

Eppure qualcosa non torna, una stonatura nella logica dei sensi (che non possono averne), o forse nel senso della logica apparente, quella che scambia inesorabilmente l'apparenza di un quadro per cose ed ambienti, invece di vedere che son solo pigmenti, fibre plastiche e pellami conciati, scarpe ed abiti che ci separano dalla nostra pelle, che ci nascondono mostrandoci ancora e per sempre alla vista degli altri.