L’IMMEDESIMAZIONE CONSOLATORIA nelle arti seduttive

ovvero "IL PRINCIPE" nell’arte

 

Credo si possa iniziare delimitando il campo della presente speculazione col dire che ciò che qui interessa sondare sono quei fenomeni di intensa emozione provati, in determinati momenti, di fronte a talune opere creative. Oggetto di questo scritto non è quindi tutto ciò che rientra genericamente nella categoria del bello, dell’ammirazione estetica dell’opera come un oggetto comunque esterno al nostro IO viceversa è l’intenzione di soffermarsi e cercare di enucleare quali componenti agiscono all’interno di quelle opere nelle quali restiamo, in alcune epifaniche situazioni, assolutamente ed intimamente coinvolti, al punto dal riuscire a dimenticare che stiamo di fronte ad un’opera, ma bensì sentiamo di essere dentro di essa.

Non basta dire che un opera siffatta è un capolavoro di equilibrio e/o di strategie funzionanti, tutta l’opera Bachiana è tale ma solo alcune parti riescono a catturare l’emozione intima e a farci dimenticare di essere di fronte a dei professionisti che eseguono partiture ultra bicentenarie. D’altra parte non è necessario trovarsi di fronte a monumenti della storia dell’arte per esperire tali sensazioni, spesso esse sono attivate da brevi jingles pubblicitari o da furbe colonne sonore cinematografiche.

Il campo di quest’indagine vuol quindi trascendere quello che comunemente delimita l’operare creativo d’uso dall’operare colto e stilisticamente evoluto di un artista nella sua parabola produttiva. E’ quindi un campo che interseca le generiche attività creative o ri-creative umane e che sistematicamente vuole ignorare un approccio estetico con i suoi apparati storici e filosofici.

Paradossalmente l’indagine sarà aiutata proprio dalla mancanza di uno spessore culturale delle opere prese in esame e dalla maggiore brevità e semplicità possibile del materiale utilizzato. Ipotesi del presente scritto è infatti che una magnifica e perfetta sinfonia beethoveniana di 45 minuti utilizzi un quid che possa benissimo essere rintracciabile in uno spot di 30 secondi. E’ il quid l’obbiettivo, non lo spessore difficilmente ricostruibile e comunicabile del lavoro di Beethoven.

 

Alcune osservazioni empiriche:

 

Tre termini mi vengono subito in mente per tentare di delineare gli aspetti principali del quid: la Risonanza, l’Archetipo e la Chiusura formale.

 

 

1.      LA RISONANZA: L’esperienza alla quale faccio riferimento non si verifica in modo incontrovertibile e riproducibile neanche nella stessa persona. Non ha quindi una formula scientifica di applicazione sempre valida, neanche a parità di condizioni sistemiche generali (superficiali, supermolecolari, organiche). Detta esperienza si verifica quando il proprio umore momentaneo entra in risonanza con una di queste opere. In altri momenti la stessa opera può apparire noiosa (non seduttiva) o addirittura fastidiosa (aggressiva).

2.      LA CHIUSURA FORMALE: A distanza di tempo l’effetto può facilmente ripetersi, viceversa il suo effetto tende, in alcuni soggetti ma non in tutti, a diminuire con la ripetizione dell’esposizione all’opera. In altri viceversa tende a stabilire un vero e proprio rapporto di dipendenza, una sorta di medicina dell’anima senza la quale si soffre una mancanza. La forma circolare, intesa sia come sviluppo temporale nelle arti temporali (musica, danza, immagini in movimento, teatro, letteratura) che come figura geometrica in quelle statiche (arti grafiche e pittoriche, arti plastiche), sembrerebbe la più congeniale al verificarsi del fenomeno.

3.      L’ARCHETIPO: Si avverte nell’opera la presenza di qualcosa che è da noi (e da sempre) conosciuto, cioè anche un oggetto completamente nuovo se sortisce questo peculiare effetto di seduzione irresistibile si percepisce che fa già parte di noi.

 

La Risonanza

 

In letteratura non ogni momento è quello giusto per leggere un bel libro, anche il libro che non ci ha fatto dormire la notte scorsa può risultare meno seduttivo[1] di una rivista di pettegolezzi[2] in taluni momenti. Per quanto ci possiamo sforzare ed impegnarci nella lettura che sappiamo più profondamente gratificante, e per quanto possa essere bello il libro, nulla potremo fare di fronte al potere seduttivo delle immagini di vip in costume da bagno e persino di fronte alla lettura delle ignominose didascalie che le accompagnano, a meno che una persona in costume da bagno, o senza, non sia nelle immediate vicinanze …in tal caso potremmo riprendere il bel libro, ma con tutt’altro scopo.

 

La risonanza si ha quando uno specifico stato d’animo trova un ambiente esterno dove riflettersi  ed in questo modo amplificarsi e diffondersi, fino a circondarci completamente con una possibile e seduttiva immagine del nostro stesso umore. Un immagine che sia il più possibile livellata con la complessità dello stesso stato d’animo.

Intendo cioè dire che quando ci capita di sentirci genericamente soli, un ascolto di un brano qualsiasi di modo minore è sufficiente a condividere questa sofferenza, ma se ci sentiamo ingiustamente soli e viviamo questa solitudine come una condanna a vita sarà necessario, al fine di esperire il fenomeno, un brano con più specifiche caratteristiche di risonanza, magari una ciaccona o comunque una forma ciclica che ci comunichi quello stesso senso di ineluttabilità del nostro destino.

E’ qui che nasce la profonda differenza tra l’operare artistico colto e l’uso di un risonatore semplice: l’opera d’arte si confronta, nei suoi migliori risultati ed autori, con la complessità e multiformità dell’esistenza, onde raggiungere un sufficiente grado di naturalezza o verosimiglianza. Per far questo non utilizza un solo ed unico luogo comune o proverbio o archetipo, ma ne concatena una serie verosimile, anche se statisticamente improbabile. Per esempio immaginiamo un film dove il protagonista subisce un torto. Nella vita reale in precedenza o in conseguenza probabilmente sarebbero passati forse anni prima di riceverne un altro della stessa importanza, o magari lui stesso avrebbe danneggiato altri, provocando torti piuttosto che subirne, ma nel film al primo torto subito ne segue un altro ravvicinato e poi magari un terzo. Verosimile ma per fortuna improbabile. La ripetizione dei torti e delle sofferenze da essi causate hanno la loro funzione nel penetrare all’interno dello spettatore per condurlo ad adottare psicologicamente il personaggio . Così scatta l’immedesimazione nel personaggio, al superamento del limite di normalità. Se viceversa dopo il primo torto subito il protagonista si vendica immediatamente, il personaggio diventa oggetto di giudizio morale, non è più solo una vittima, ma un possibile carnefice. Non possiamo essere noi!

Un film d’Autore, probabilmente avrebbe invece proprio giocato sull’ambiguita del bene e del male, con i confini indefiniti che gli sono propri. Solo in un secondo tempo e grazie a più sofisticati  sistemi semantici saremo condotti a confrontarci ed eventualmente adottare il personaggio sfortunato.

            In un quadro d’autore con più personaggi, non tutti sono belli e giovani, il contrasto tra le età e le estetiche fa vivere internamente una buona composizione, creando i necessari, perché verosimili, contrasti. La scena viene però osservata dal fruitore come un oggetto fuori dal nostro se[3], un oggetto da contemplare e da cui ricavarne concetti di superiore livello. Viceversa in uno spot pubblicitario, anche i vecchi saranno bellissimi e i brutti simpatici se usano la merce da vendere. Paradossalmente nel quadro d’Autore, dove magari c’è un personaggio che pare il nostro gemello non ci riconosceremmo mai, invece potremmo specchiarci ( inconsapevolmente) in un personaggio pubblicitario lontanissimo in età e fattezze da noi a causa della forza che ha la nostra mente di procurarci un immagine del nostro IO all’altezza delle nostre aspettative. Chi di voi non ha provato disagio guardandosi in un video o in una foto e chi di voi non ha notato una estrema somiglianza con almeno un Vip? Le due cose presentano una evidente incongruenza: può il bel Vip cui sentiamo di somigliare apparire brutto in un video che ci riprende?

 

Appare evidente ma forse un po’ azzardato, supporre che la Risonanza tra l’opera ed il nostro stato d’animo, avvenga piuttosto con l’immagine che noi abbiamo di noi stessi, un immagine forte nella sua scultura che potrebbe giustificare come anche in una situazione umorale neutra l’opera possa re-innescare l’effetto Risonanza.

 

Se il nostro umore è alle stelle e sprizziamo energia come un neon possiamo sentire il bisogno di comunicare artisticamente questo sentimento, o anche semplicemente contribuire a rafforzarlo e farlo perdurare. Difficilmente ci poniamo di fronte ad un quadro di Mondrian o ascoltiamo Debussy, più facilmente tireremo fuori il primo album di Jimi Hendrix o guarderemo una commedia. Viceversa se sentiremo di odiare il mondo intero e disprezzeremo l’affanno con il quale si continua a riciclare nella pittura figure antropomorfe e paesaggi consueti, troveremo il giusto sollievo perdendo lo sguardo nelle linee nere che racchiudono i colori primari, ben separandoli, come è giusto che sia, in un mondo oppresso dalle mezze tinte e dalle mezze verità. In sottofondo un algido Webern ci consola con le sue inumane perfezioni.

La risonanza è fondamentale nell’esperire l’immedesimazione consolatoria.

 

La chiusura formale

 

Un altro aspetto importante dell’immedesimazione consolatoria, è quello squisitamente formale. Come deve essere strutturato il materiale per sortire l’effetto di seduzione completa?

 Il fruitore deve scivolare all’interno dell’opera. Intendo dire che essa non deve fornire appigli attentivi, cioè punti di maggiore interesse che catturino eccessivamente l’attenzione a scapito della forza centripeta fondamentale. Questa del resto è una regola dello scrivere musica da film, un interesse specifico in una determinata figurazione distrarrebbe dal film piuttosto che ampliarne la seduzione.

In ogni momento deve essere possibile intuire l’orizzonte. Nel caso consueto della tonalità, essa resta il centro gravitazionale delle funzioni armoniche e per questo visibile da ogni battuta dello spartito. Una modulazione a tonalità lontana farebbe cadere il senso di sicurezza e fatalità della successione di eventi.

Ogni elemento riconoscibile come figura deve avere lo stesso tipo di forma circolare, che cioè mediante rotazione suggerisce una sensazione di movimento, ma data la circolarità è un movimento fittizio, di tipo giostra.

L’insieme di questi elementi che costituiscono l’opera, pur dotati di vita propria in frequenza di rotazione ed ampiezza (evidenza), può essere paragonato al meccanismo di un orologio, dove tutto si muove restando al proprio posto, senza traslazioni o trasposizioni.

La forma circolare rappresenta la migliore soluzione di forma chiusa in se stessa, uguale o almeno simile in ogni suo punto (equidistanza), monocentrica e con tutte le altre ben note proprietà geometriche. E’ la forma che meglio si presta a sfidare l’attrito fisico ed estetico, quella che scivola meglio su qualsiasi superficie poggiandosi sempre solo su un punto, che fa della sua instabilità una insuperabile forza dinamica.

Nella musica tonale la forma circolare armonica per eccellenza è la progressione diatonica per quarte (funzione dominante).

La funzione circolare, scivolosa si palesa come una vera e propria trappola alla quale è difficile sfuggire, basti pensare alla difficoltà nel liberarsi la mente da uno di quei motivi orecchiabili, che trovano la loro forza nella coazione ad andare avanti, ma che a causa della struttura circolare non incontrano mai la fine, un finale sufficientemente stabile per poterne uscire senza reniziare immediatamente.

 

L’Archetipo

 

La struttura ad orologeria si rifà ad un archetipo ben noto che è quello della successione temporale e planetaria. Fin da bambini, e da quando esiste l’uomo, ognuno esperisce ed assorbe come naturale e proprio i cicli temporali giorno-notte, stagioni etc. Qualsiasi struttura si appoggi a questo archetipo sarà immediatamente condivisibile con l’intero genere umano, a meno che sovrastrutture formali o culturali non ne soffochino la riconoscibilità.

 

 

 

Musiche seduttive:   Carl Orff: O Fortuna (Carmina Burana)

Astor Piazzolla: Libertango, …

Michael Nyman: Prospero Books (L’Entree), Time Lapse (A zed & Two Noughts [ZOO])

Ennio Morricone: Mission, Indagine su un cittadino…

X Y(Sanremo): I bambini fanno oh.

Gino Paoli: Sapore di sale

Cole Porter: L.O.V.E.

Stelvio Cipriani: More (Mondo cane)

Maurice Ravel: Bolero

 

Architettura seduttiva:          Piazza S.Pietro, in generale il Barocco romano.

Cinema seduttivo:    praticamente tutto quello di successo di pubblico, insuperato per incassi Steven Spielberg.

Arti grafiche seduttive:         Herschel, elaborazioni grafiche con i frattali…

Giochi seduttivi:        altalena, hula-hop, salto della corda

 

 

(16 Maggio 2007)


 

[1] Con il termine seduzione qui si fa riferimento alla sua etimo condurre a se, al di la dell’estensione erotica.

 

[2] Gossip per i lettori di lingua straniera.

[3] Se: il nostro IO fa riferimento ad un ente oggettivo, il Se è la nostra immagine del nostro IO.