Serviti e servitori

 

La servitù, il servilismo fino ad arrivare al desiderio masochistico di mettere se stessi completamente a disposizione di un padrone/a nella sub-cultura sado-maso, sono aspetti di una categoria psicologica che fa riferimento all’assunzione come naturale della divisione in dominanti e dominati in ogni relazione sociale di qualsiasi livello.

Servo è colui che serve cioè che risponde ad una funzione, in elettromeccanica il servo-motore altro non è che un motore di piccole dimensioni che si occupa solo di una particolare funzione all’interno di un sistema complesso ed è comandato via software da un processore.

Inutile o quasi, come al solito, chiedersi se tale divisione in ruoli o meglio l’assegnazione ad un nome-ruolo-persona di un compito di basso livello di funzionalità possa più o meno direttamente derivare da comportamenti animali. Di certo l’umanità ne ha cristallizzato il personaggio tanto da istituirne addirittura un percorso formativo. [Si pensi alla scuola anglosassone per maggiordomi e governanti]. Quindi ha istituito anche una gerarchizzazione della scala della servitù, che vede al gradino più basso il lavapiatti o lo scopino.

Interessante è proprio la formazione del servitore che prevede una condotta “trasparente” nei confronti dei serviti. La trasparenza si rifà alla necessità di rendere la propria presenza il meno possibile ingombrante, prescrivendo formule di continuo commiato e di convocazione. L’aspetto asettico garantito dall’assunzione non solo di un’apposita uniforme ma anche dalla soffocazione di qualsiasi emozione visibile, a tutela della privacy e quindi della libertà di azione e parola da parte dei serviti. E’ noto infatti che i servitori sono stati sempre a conoscenza di tutte le debolezze ed i segreti dei serviti, ma ne hanno fatto parola molto raramente e con estrema circospezione, perché gli è stato sempre inculcato come primo ordine la segretezza, da parte del personale formativo: pena la stessa esistenza del ruolo e della classe di servitori.

Al di là di quanto si possa pensare, io credo che l’abuso di potere del servito sul servitore sia stato e continui ad essere meno sovente di quanto si possa pensare, in virtù della coscienza da entrambe le parti che il superamento della barriera fisica, e quindi l’utilizzo improprio della servitù soprattutto di tipo sessuale, possa rivelarsi nel tempo un arma a doppio taglio venendo da una parte a perdere l’autorevolezza e la sacralità di cui si ammanta il servito e dall’altra nel provocare la nascita di pericolose illusioni di un impossibile relazione personale, di tipo affettivo.

Tale tacito accordo sopravvive ancor’oggi nei rapporti tra serviti e servitori, quali possiamo rintracciare nelle relazioni di commercio al dettaglio o nei pubblici esercizi, in particolar modo nelle trattorie e nei ristoranti.

Dette relazioni sono tutt’altro che trasparenti e scontate come potrebbe sembrare ai più distratti, la maggioranza degli individui. Di certo i negozianti ed il personale dei refettori di qualsiasi tipo se lo sono subito trovato davanti questo dilemma: come sedurre (portare a se) il cliente e legarlo emotivamente senza rischiare di creare situazioni di reciproco imbarazzo o guai peggiori.

I mezzi di comunicazione non verbale adottati sono i soliti, il sorriso, lo sguardo e la cortesia in generale nell’approccio. Ma a dettarne le quantità è un meccanismo determinato. Per esempio il cameriere quando sarà al nostro tavolo potrà, a seconda dello stile adottato dal ristorante, profondersi in minori o maggiori attenzioni fino ad arrivare, qualora gli venga concesso dall’affabilità del cliente,  ad una certa apparente familiarità. Ma quando lo stesso cameriere naviga tra i tavoli si guarderà bene dall’incrociare lo sguardo del precedente cliente onde evitare che questi abbia a fraintendere un eccessivo coinvolgimento. Ciò che più preoccupa e mette in imbarazzo il cameriere è che il cliente si alzi e lo vada a cercare di persona, distruggendo il tacito patto che lega sempre il servito al servitore e non viceversa. Si, è proprio questa la regola a dispetto della logica. Perché quello tra servito e servitore non è un rapporto gerarchico ma di altra natura: il servitore risponde del proprio operato al proprio diretto superiore e non ha e non deve avere alcun rapporto personale con il servito, persino la sua assunzione è effettuata dal superiore su mandato e parere del servito. Il servitore che risponde ad una sua chiamata infatti non risponde all’invito di una persona fisica ma ad una sua funzione meccanica, proprio come il servo-motore deve restare separato ed incosciente del superiore livello di funzione onde non esserne in nessun modo coinvolto, proprio per garantire che in caso di malfunzionamento del sistema centrale, la sua precipua funzione non venga automaticamente compromessa: se il computer di bordo di un’auto non funziona il motorino dell’alzacristalli deve essere ancora in grado di aprirsi e far respirare il conducente. Nel momento in cui il servito si avvicina e pone una domanda diretta al servitore, che esula dalla sua funzione, lo mette subito in imbarazzo perché lo riporta ad un piano personale che il servitore aveva lasciato nello spogliatoio. E ciò gli causa sofferenza perché viene interpellato, come persona e non come servitore, ma non in una situazione paritaria bensì in quella impropria del rapporto di servizio. Questo capita spessissimo proprio perché a differenza del servitore che è stato debitamente istruito sul comportamento da tenere per limitare il proprio potere di seduzione, il servito può cadere nel fraintendimento delle attenzioni a lui riservate dal servitore per servizio.

Per lo stesso motivo, a mio parere, non è cortese salutare per strada l’impiegata delle Poste solo perché ci si è illusi di averla conosciuta all’ufficio postale. Questo perché si dimentica che ogni persona non è sempre solo quello che fa ma anche altro e che, soprattutto in personale di sevizio o a contatto con il pubblico, il suo servizio e la sua cortesia hanno un’orario, quello di servizio, che una volta terminato non sempre si gradisce  venga prolungato oltre. In strada il tabaccaio gentile non è più un tabaccaio ma una persona sconosciuta qualsiasi, e non si salutano tutti gli sconosciuti che si incrociano.

E’ anche vero che comunque è un’abitudine così diffusa che chi lavora a contatto con il pubblico sa bene che è impossibile evitare i saluti dei clienti-utenti che in buona fede li salutano continuamente come se fossero conoscenti, e anche che ciò può non dare fastidio ma anzi far piacere.

L’innamoramento del cliente nei riguardi della barista è un classico, il cercare di frequentarla al di fuori dell’orario di servizio è un vero e proprio abuso da parte del cliente, che non può addurre come argomento quello di aver conosciuto la barista, perché egli ha effettivamente conosciuto la barista ma non conosce la persona che quel servizio presta in orari lavorativi. Sarebbe come tentare un approccio ad una donna qualsiasi per strada, non si ha alcun diritto di imbarazzarla.

 

E’ per queste situazioni al limite dei sentimenti che detesto essere servito, proprio perché estremamente sensibile all’altrui cortesia, cado sovente in questa trappola involontaria causata dall’esigenze squisitamente commerciali dei servitori. Quelli instaurati tra clienti affezionati ed i propri referenti commerciali sono rapporti con questo vizio di fondo, insopprimibile ed insuperabile, infatti non ci si può avvicinare per strada a persone già viste sul posto del proprio lavoro senza essere tentati di salutarle, un po’ come succede quando si incontra un attore casualmente e si è tentati di salutarlo solo perché lo si immedesima con il personaggio interpretato.

Ritornando alla situazione di procurato imbarazzo da parte del cliente del ristorante, avevamo notato fosse diversa da un rapporto gerarchico ma anche che in fondo ci si era appropriati indebitamente di un azione di esclusivo dominio del servitore, quella di scegliere il tempo ed il modo per avvicinarsi al tavolo. In questo modo, pur non gerarchicamente, si era voluto evidenziare una priorità del servitore sul servito per quanto riguarda le modalità di servizio, è lui il servitore che decide ed impone tempi e modi.

Potrebbe essere invece diversa la situazione quando il pubblico funzionario frequentato nel suo servizio cessi il servizio e vada in pensione. In tal caso, venendo a mancare l’utilità della cortesia precedentemente motivata dal servizio commerciale o meno, viene anche a cadere il motivo di imbarazzo provocato dall’opportunità di procastinare detta cortesia anche fuori servizio onde non perdere il cliente-utente. Anzi l’essere diventati a tutti gli effetti dei semplici cittadini il saluto deli ex-utenti-clienti può causare un piacere, sia per il risentirsi parte integrante  ed operativa del tessuto sociale, sia come implicito riconoscimento della propria professionalità, ed addirittura, quasi a mo di contrappasso dantesco, per l’inconsapevole illusione nell’animo del pensionato, ora possibile, di un legame reale tra egli e l’ex-utente. Venuta cioè a cadere la propria identità professionale e con essa le regole di necessario distacco conservato per un’intera vita, il pensionato potrà giovarsi, complice la normale decadenza mentale, di un utile illusione di estensione del proprio ambiente affettivo.

 

(09-01-2008)