USCIRE

 

Quando non basta più voltare le spalle allo specchio, perchè ritrovi negli occhi di chi hai di fronte quel mostro che sei, quello dal quale vorresti scappare.

Quando pensi di non poter evadere da te senza un po' morire, senza riempirti di svuotapensieri, e cerchi aria, solo aria che non possa riflettere la tua immagine.

Quando alla fine hai già deciso di non decidere, e sei fuori per strada, ed inizi a camminare, con gli occhi semichiusi o sbarrati, la bocca appena aperta perchè hai dimenticato di serrare la mascella e forse anche la porta di casa.

Quando ti infili in un mercato all'aperto, con i sentieri praticabili in continua e costante riformulazione, dove ti aspetti di poter passare ed un attimo dopo il guado è occupato da una bici in pantaloncini e sandali come te, perchè l'estate sta finendo ma nessuno lo vuole.

Quando finalmente entri in mancata sintonia con le facce che scorrono nei tuoi occhi e riesci a fregartene totalmente di quello che vedono in te, di te, su di te.

 

Allora inizi a liberarti veramente, non ti soffermi più di un secondo su quei volti invecchiati di donne struccate con lo sguardo severo ed attento di chi cerca qualcosa e non la trova, sulle gambe lisce di quelle giovani truccate, sui loro decolletées push-up abbronzati 365/anno, con gli sguardi alti che sbirciano quelli catturati dalla propria figura.

E ti accorgi che sei vestito come i pensionati 70enni, identico borsello, identica schiena arcuata, ma molto, molto meno voglia di vivere di loro.


 

Allora cerchi un bar, ma non uno qualsiasi, deve essere un bar con una ragazza dietro il banco, ma non una ragazza qualsiasi, una di quelle ancora disposta a fingere gentilezza ed abbozzare un sorriso. Loro sono li apposta, sono state scelte per quello, ma molte se lo dimenticano e parlano con i propri amici, fumano fuori del bar con loro, discutono, ti ignorano completamente, senti di stare dando loro fastidio e scappi verso un altro bar.

Arrivi che stai fumando e qualche volta, pieno di un'arroganza che non ti è propria, chiedi ti servano un caffè al tavolo. Molto più spesso finisci di fumare la tua sigaretta continuando a girare intorno al bar. Questa cosa del divieto di fumo nei luoghi pubblici ormai l'hai così interiorizzata che prima di entrare in un luogo pubblico dopo aver fumato senti il desiderio di metterti in bocca una mentina.

Quando la lunghissima e sottile sigaretta termina di bruciare la butti per terra, poi la raccogli sentendo gli sguardi di chi ti sta intorno, e la posi nel più vicino posacenere, di solito distante una 50 ina di metri. Poi ignorando lo sguardo di chi ti sta intorno prendi il posacenere con tutte le sue cicche e lo rovesci sul marciapiede e puoi finalmente entrare soddisfatto nel bar, senza minimamente pensare di metterti una mentina in bocca: devi prendere un caffè cazzo!


 

“Mio figlio ha il doppio nome Umberto Michelangelo, l'avrei voluto chiamare Michelagnolo ma poi ho pensato all'ignoranza della gente, figurati uno mi ha detto come il mio giocattolo! [tartaruga ninja]

In realtà adesso è obbligatorio mettere la virgola dopo il secondo nome, così io ne ho aggiunto un terzo, mio figlio si chiama Umberto Michelangelo virgola Maria”

“Allora i suoi amici come lo chiamano, virgola?”

Sorridi, paghi, la barista ti sorride ed esci pensando, “Virgola vieni a mangiare!”


 

Adesso il caffè l'hai bevuto, il suo tempo, quello al suo rito dedicato è passato, non hai nessuna intenzione di infognare i tuoi pensieri liberi e leggeri in qualche quotidiano di merda che spala merda di gente di merda per altra gente di merda che la legge incuriosita.

Non resta che cercare un altro bar dove prendere un altro caffè. Cammini leggermente inciampando su marciapiedi spacca caviglie e rompiginocchia, di quelli antisdrucciolo che se stai perdendo l'equilibrio e non facendo scivolare la suola per riacquistarlo, ti inchiodano al terreno facendo rovinare a terra decine di anziani gommati.

Le amabili cacche di cane tengono impegnato lo sguardo sui miei passi come un cacciamine e delle donne che passano vicine devi accontentarti di rimirar le sole caviglie. Sul ciglio della strada aspetti il semaforo verde, poi quando scatta il rosso accenni all'atto di traversare, solo per vedere le motociclette sparate a razzo inchiodare davanti a te. Ma non ci si può fare tanto affidamento sulle strade, sui pneumatici, sui freni e sui riflessi dei motociclisti...

Sei di fronte al secondo bar, da lontano scruti il banco per vedere chi serve e puntualmente scorgi ragazzotti nerobianco vestiti con tanto di bustina nera stile giovane italia. Nel terzo bar, a conduzione familiare, una triste madre ingrassata dalle preoccupazioni impartisce ordini al triste figlio giovanissimo ingrassato dall'ozio: non cerco tristezza da condividere, ne ho da vendere.

Il quarto bar è presieduto dal 50enne barista di ordinanza, quello con la barba bianca non fatta, sorridente e scaltro, agile e dinamico. Ottimo per civette in astinenza da complimenti ma non per me che cerco sorrisi femminili di cortesia.

Finalmente il quinto bar contiene la terra promessa, il Sacro Graal del sorriso femminile, di una ragazza senza età perchè ... cinese. Timida scollatura, tunichetta nera, attorniata da giovanotti, ragazzotti, signorotti, femminotti dal sesso incerto. Entro “Ciao un caffè, grazie”. E' fatta, le labbra si schiudono automaticamente per mostrare parte dei denti, ma gli occhi restano glaciali, mi sciolgo in un sorriso tenero con tanto di testa inclinata, voglio sfiorarle il cuore, almeno provarci. Niente da fare il suo sguardo vola altrove, parla in cinese col cinese di fianco, ed io il cinese non lo conosco. Ancora una volta sono escluso, buttato via.

Per vendicarmi (sic!) rifiuto la sua cortese offerta di un po' d'acqua ed esco dopo aver pagato e ringraziato ma senza salutarla, presa com'è dal cinese e dagli altri clientotti.


 

Passando sulla via di non so dove, diretto verso non so cosa vengo attratto da un negozio seminascosto che sapevo chiuso e non so perchè mi avvicino. Dentro è rimasto come era prima, sono cambiate le cassiere ed il nome, sempre super-mini-alimentari è.

Proseguendo sullo stesso marciapiede mi dirigo verso poliziotti e finanzieri parcheggiati sull'altro ciglio della strada, che noia, quando in prossimità del negozio di cancelleria ed articoli per ufficio che stimola sempre i miei succhi salivali scorgo una panchina vuota, deserta, libera, di legno, recante un graffito bianco inoffensivo che non provo neanche a leggere. Mi ci siedo sul ciglio sinistro e mi trovo seduto con le spalle alla strada, di fronte ad un portone aperto di un palazzo, con la sua gradinata che sale di fronte a me. Sono in prima fila per assistere all'uscita di qualunque suo condomino ma non ne uscirà nessuno. Unica presenza un grasso fabbro che armeggia col portone medesimo. Il senso ovvio e banale di un personaggio che esercita il suo mestiere, neanche un bambino che piscia sul muro od un cane che gli azzanna il culo.

Già disperato e pronto a rifugiarmi nel mio nido condominale, d'improvviso vedo quello che stavo cercando: è lì di fronte a me sulla sinistra. Ancora prima di capire perchè, so, sento istintivamente che è proprio quello di cui avevo bisogno. Sono così emozionato che ho subito voglia di fotografare quello che vedo. Ma mi rendo presto conto che servirebbe a poco, sarebbe necessaria una telecamera montata su treppiede ed una messa a fuoco millimetrica. Posso solo provare a descrivere ciò che vedo.


 

Il negozio di articoli per ufficio si estende per alcune vetrine, le ultime due seguendo il perimetro del palazzo formano tra loro un angolo di 150 gradi. Sono fatte con doppi vetri ed in alcuni punti esistono anche delle riflessioni date da ulteriori vetrine e ripiani di vetro interni al negozio. Le due vetrine ad angolo sono separate da un pilastro di una 50ina di centimetri. Esse riflettono la strada alle mie spalle e tutto ciò che vi transita, oltre ai pedoni sul marciapiede dov'è posta la mia panchina.

L'angolazione rientrata di 30 gradi rispetto al prolungamento della vetrina di fianco, fa si che le auto alle mie spalle vengano riflesse dalla vetrina con molto anticipo rispetto alla loro riflessione data dalla vetrina successiva che è invece parallela alla strada. Il tutto è ovviamente invertito “a specchio”, ciò che proviene dalla mia destra appare riflesso alla mia sinistra dalle vetrine.

L'effetto complessivo è quello di vedere molteplici riflessi (delle sovrapposte vetrate) di auto che scorrono le une contro le altre, perchè l'appiattimento prospettico annulla la possibilità di ricognizione stereoscopica e soprattutto auto che scompaiono misteriosamente dentro il pilastro (la zona-tempo dove non vi è alcuna possibile riflessione) per ricomparire pochi secondi dopo nella vetrina seguente ed in direzione angolata rispetto alla precedente. Auto che si scontrano nel pilastro, auto in lontananza, più piccole sui ripiani di vetro interni, ma ciò che completa l'opera è il suono. Esso è totalmente asincrono rispetto alle riflessioni soprattutto per quanto riguarda la provenienza, infatti il suono proveniente alle mie spalle è quello reale ma almeno in una delle due vetrine si trova in ritardo rispetto all'immagine riflessa, per poi sincronizzarsi con l'immagine riflessa dalla vetrina parallela. Come già detto in quel momento l'auto che vedo a destra sta passando in direzione sinistra dietro le mie spalle. Il tutto, ripeto, genera una confusione pazzesca di immagini e suoni relativi.


 

Il mondo reale, quello quotidiano, fatto di azioni motivate, con significati netti ed immediatamente percepibili, dove il cane che abbaia lo fa aprendo nello stesso momento le fauci, viene improvvisamente percepito in modo diverso, sconclusionato, irreale perchè scoordinato, ritardato e capovolto nelle diverse percezioni acustico-visive.

Adesso, su quella panchina, con gli occhi fissati a quelle vetrine magiche, finalmente vedo il mondo quotidiano stravolto come nella mia stessa follia, muoversi con la stessa irreale mancanza di senso del mio mondo interiore, con l'identica crudele ed insopportabile fredda ferocia con la quale la mia persona scivola non vista negli occhi delle donne che desidero. Adesso anche la realtà in cui sto vivendo è mostruosa come me.


 


 

2010-09-08