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Corto realizzato da  William Mussini, con/su sculture di Elio Cavone e musiche di Antonio Iafigliola

(recensione tratta da lettera personale all'amico A. Iafigliola)

 

Note di visione:

1° visione completa in luce diffusa sul monitor del portatile e cuffia.

2° visione con le stesse modalità, per verificare delle ipotesi di lettura … interrotta quasi subito

3° ed ultima visione completa sempre al monitor ma al buio completo e … senza audio.

 

    La mia visione ha il seguente background sintetico:

    Conosco tutti i brani utilizzati per l’audio, ed amo la tua musica.

    Amo il cinema di Peter Greenaway che considero essere l’unico artista di cinema, gli altri si affannano a raccontare storie con l’aiuto di immagini, storie che potrebbero meglio essere godute con la lettura del relativo libro. Ma ci vuole una grande mente, zeppa di immagini e di vita vissuta per leggere bene un libro, siccome siamo sempre più vuoti e banali, abbiamo bisogno che un avatar, un alter-ego ci porti per mano nel film-libro.

    In più, da 6 anni inseguo la possibilità di integrazione audio-video, nello specifico della musica elettronica di ricerca.

 

    La prima visione mi affascina per la cura estrema del punto di ripresa e l’idea (messaggio?) di una proibitiva messa a fuoco di un ambiente turbinoso. Ripresa livello suolo, macchina ferma (finalmente un regista che rivaluta il treppiede!) fuoco ed inquadratura fissa. Dicono più i piedi del protagonista che il suo volto.

    Prima considerazione personale e gratuita: non era più che sufficiente un idea ottima come questa per farci un intero short movie? Evidentemente no, il desiderio è e resta solo del regista.

Seconda considerazione: il cinema a lungo non è stato considerato la settima arte per il fatto che è un opera collettiva, fatta di molte creatività dirette da una sola persona che ha sopra di se un produttore: morale nessuno è direttamente artisticamente ed unicamente responsabile del prodotto finito, tutti possono dare la colpa all’altro. Tra le poche eccezzioni mi viene in mente “Prospero’s Books” di P. G., una coproduzione multimiliardaria, multinazionale che si deve esclusivamente al prestigio dell’attore protagonista Sir John Gielguld, che ha scelto Greenaway per fargli fare quello che cazzo voleva con i soldi che voleva. (capita una volta ogni mille anni e non si accettano prenotazioni)

    Se ho citato questo capolavoro è perché ho avuto l’impressione che il film sia stato realizzato come “biglietto da visita” dello scultore Cavoni. Con tutte le decisioni extra-artistiche che ciò può aver comportato. Temo che però il pur dotatissimo artista abbia influenzato e indirizzato pesantemente la vena creativa del regista.

    E la musica?

    Mio caro amico, la tua musica, da un punto di vista (sic!) funzionale, comunque la metti, l’incolli e la rovesci va bene sempre, cioè porta con se enormi vagoni di micro e macro informazioni, parla di una sensibilità rara per il particolare, della dolcezza dell’essere e dell’aspirazione ad essa ma c’è un ma …

    Essa vive della sua evoluzione, ogni banda frequenziale raggiunta è faticosamente cercata e preparata nel tempo, attesa o disattesa, infinita sorpresa e sorridente, incantata estasi statica, accellerazione turbinosa ma sempre rigorosamente equilibrata, ridondante e saggia. In una frase, la tua, come quella di Beethoven ma non di Vivaldi, è musica che vive nel tempo e nel suo (tuo) preciso scorrere trova l’unica possibilità semantica. Una battuta di Beethoven, anche la più bella, non dice nulla del divenire creativo dell’opera, è più o meno un quadratino ritagliato di un quadro di Kandinsky, ci si può fare un souvenir, ma che ne è della linea flessuosa e rigorosamente costruita del maestro?

 

    In questo film l’apporto semantico dato dai tuoi quadratini  musicali è stato utilizzato come truciolato, (avrei scritto come texture, ma ho pianto per lo scempio perpretato)  per suggerire una certa, generica inquietudine, non si sa bene di chi, vista l’imperturbabilità antipatica del protagonista (“lo spirito di sopravvivenza”: da istinto addirittura a spirito; “prevalere sugli eventi”: ma siccome gli uomini sono gli artefici della maggior parte degli eventi, suppongo che la “prevalenza” valga anche su di essi, auguri al prossimo duce!).

 

    Concludendo questo che vuole solo essere un modesto contributo di riflessione al grande lavoro che è stato fatto da tutti e che merita di apparire in tutte le possibili kermesse del settore, mi fa pensare che una maggiore parsimonia di idee gioverebbe al prossimo film che vi auguro di fare (due idee sono troppe perchè vanno in conflitto booleano, ma in questo film c’è ne è da fare film per un intera carriera).

    Ancora, che visto senza audio va bene lo stesso. Forse una musica minimale, tipica dei film di suspense avrebbe accontentato palati più numerosi e giovani.

    Che la sovrapposizione e l’accumulo di informazioni, specie se pittoriche (tutte le prime fotografie ed i primi film dei giovani autori sono ambientate nelle fabbriche abbandonate, è una vera e propria firma generazionale!)  e la loro proliferazione anche se ripetuta non costituisca un messaggio ne un’opera d’arte. Io penso che, anche se in modo parzialmente incosciente, ogni agire artistico debba essere intimamente e organicamente motivato, non basta ripetere più volte un disegno, un motivo, un immagine qua e la per costruire il Senso.

 

    Visto che mi sono arbitrariamente vestito da critico consentimi (consentitemi) una invidiosa e sincera autocritica. [ lo sanno tutti che i critici sono artisti falliti !]

 

    Come vorrei essere bravo come William Mussini a fare le riprese, la luce e il colore splendido che è in grado di pensare e produrre, per poter “raccontare per immagini” la tua musica, un brano per volta. Voglio dire che mi piacerebbe vedere un film creato da Mussini su un solo tuo brano completo.

 

    Come vorrei essere bravo come Elio Cavone a realizzare quelle putrefande figure in attesa di sepoltura o almeno del perché della loro morte, per farmi comporre da te, Antonio,  una musica che ne accompagni una mostra personale a percorso obbligato e temporizzato.

 

    Come vorrei, ma questo lo sai, avere il tuo stesso desiderio di svegliarmi la mattina presto, con il cuore in pace e mettermi a scrivere quei suoni che passano per la tua mente, con il coraggio delle pause e il “sadismo” di far suonare l’orchestra uno strumento per volta, una nota alla volta, ma con mille suoni dentro che si inseguono.

 

 

(21-03-2007)